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12 agosto, 2019

XXII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano: Broken Nature

Nel 1923 nasceva a Monza la prima Esposizione Internazionale delle arti decorative[1]: la manifestazione con cadenza biennale aveva l’obiettivo di stimolare le relazioni tra industria, arte e società. Alla base vi era la concezione dell’unitarietà di tutte le forme d’arte e delle espressioni creative collegate alle evoluzioni sociali e allo sviluppo economico.

Nel 1933 la rassegna di Monza diventa triennale e si sposta a Milano nel nuovo Palazzo dell’Arte progettato dall’architetto e accademico Giovanni Muzio, grazie alla donazione di 5 milione dei fratelli Bernocchi al Comune. Il Palazzo di circa 12.000 mq, noto anche come “Palazzo Bernocchi”, doveva ospitare l’Esposizione Triennale Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne e dell’Architettura Moderna.

Inizia così la vita della Triennale, che da oltre 90 anni è un punto di riferimento culturale ed economico, in Italia e all’estero Il nucleo principale della collezione permanente include 1.600 oggetti di design italiano, dal 1927 ad oggi: arredo, complementi, elettronica.

Quest’anno la XXII Esposizione Internazionale della Triennale è intitolata “Broken Nature: Design Takes on Human Survival” a cura di Paola Antonelli, Senior Curator del Dipartimento di Architettura e Design e direttrice del reparto Ricerca e Sviluppo al MoMA di New York. L’Esposizione, visitabile dal 1 marzo al 1 settembre 2019, è composta da una mostra tematica e da 21 Partecipazioni Internazionali che coprono tutti i continenti offrendo una proposta diversificata in termini di temi, prospettive, contesti di provenienza.

Il titolo chiarisce da subito che si tratta di un’indagine approfondita sui legami che uniscono gli uomini all’ambiente naturale. La mostra propone diverse prospettive sull’agire umano a discapito o a beneficio dell’ambiente. Sono stati selezionati oltre cento progetti che vogliono risanare proprio questi legami compromessi: i diversi progetti di architettura e design esplorano il concetto di design ricostituente e mettono in risalto strategie che reinterpretano il rapporto tra gli esseri umani e il contesto in cui vivono. Nascono così suggestive istallazioni e racconti carichi di significato.

La mostra tematica include alcuni lavori commissionati appositamente per questa edizione che propongono approcci creativi che mirano a correggere “la rotta di autodistruzione dell’umanità[2], e invitano a pensare in maniera diversa le relazioni con l’ambiente e tutte le altre specie, uomini inclusi. Questi progetti sono in diversi casi la continuazione di opere iniziate in precedenza e si caratterizzano come un’attività di ricerca continua.

Ad esempio Ore Streams, di Formafantasma, è un’indagine sul riciclo dei RAEE, i preziosi rifiuti elettronici oggi al centro di numerosi progetti di recupero. L’obiettivo è mostrare come il design possa essere impiegato per correggere i difetti nell’attuale sistema di gestione dei rifiuti, per promuovere un cambiamento consapevole verso il riconoscimento dei rifiuti come nuovi materiali. L’analisi approfondita del ciclo dei rifiuti ha avuto inizio durante la NGV Triennial di Melbourne nel 2017. Viene presentata una collezione di mobili per ufficio costruiti con materiali di scarto o risultanti da processi di recupero.

The Room of Change invece, di Acccurat, è un’installazione composta da una sorta di arazzo di dati, che illustra come molteplici aspetti del nostro ambiente siano cambiati, come stiano cambiando e come probabilmente cambieranno in futuro. L’installazione racconta storie di persone e l’evoluzione nel tempo della loro relazione con ciò che le circonda, in una stratificazione che evidenzia la capillarità dei cambiamenti.

Alla mostra si affiancano numerosi contributi dei padiglioni delle numerose realtà internazionali partecipanti, come, ad esempio il progetto dei United Visual Artists che contribuiscono alla mostra con la loro installazione Great Animal Orchestra (2016) composta da registrazioni di ambienti naturali del biofonologo e scienziato Bernie Krause.

La mostra si compone anche di un’esposizione di divulgazione scientifica a cura di Stefano Mancuso, autorità mondiale nel campo della neurobiologia vegetale, dal titolo “La Nazione delle Piante”. Per evitare un futuro catastrofico per l’umanità bisogna guardare alle piante non solo per quello che hanno da offrirci, ma per quello che possono insegnarci. Le piante sono dotate di sensi, memorizzano e comunicano tra loro come organismi intelligenti. Nella loro evoluzione hanno trovato soluzioni efficienti e non predatorie nei confronti dell’ecosistema.

Ci sono poi 4 progetti, che racchiudono e sintetizzano bene il messaggio della Triennale: si tratta di vere e proprie opere di “biodesign” e “design rigenerativo”[3] che andrebbero assolutamente viste.

Il primo progetto, “Algae Geographies”, è sviluppato dal team dell’Atelier Luma di Arles. L’opera valorizza le potenzialità delle zone umide, come bacini di proliferazione, produzione e coltivazione d’innumerevoli tipi di alghe. Queste, opportunamente lavorate, sono all’origine delle bioplastiche, plastiche biodegrabili perché ricavate da materie prime naturali. Avviato nel 2017 in Camargue, il laboratorio si è ora allargato a diversi Paesi del bacino del Mediterraneo, fino ad interessare anche la Sardegna. Tra le variegate produzioni degne di nota colpiscono i vasi in microalghe e biopolimeri stampati in 3D (Studio Klarenbeek & Dros), esempio di intreccio tra tradizione locale, tecnica innovativa e modellazione sostenibile.

Il progetto Hy-Fi di The Living presenta invece la tecnica della “biosaldatura”: blocchi di micelio vivo e fibra di granoturco crescono insieme in casseforme creando solidi legami, e architetture che sono anche in grado di autoripararsi. Per i due pezzi realizzati per la Triennale, Voxel Bio-Welding e Jammed Bio-Welding, il materiale nelle fasi iniziali è stato compresso in casseforme, per poi lasciarlo crescere tutto insieme in loco.

La Polonia, uno dei principali paesi produttori ed esportatori di prodotti in legno, presenta alla XXII Triennale una piccola e suggestiva installazione che invita a riflettere sulla necessità di adottare modi di produrre più responsabili. The MYCO System (curatori Gurowska-Szydlowska-Siuda dell’Adam Mickiewicz Institute) è una pedana in legno, inclinata e forata secondo le costellazioni celesti. L’invito è a cambiare prospettiva e guardare il mondo dal sottosuolo, dove proliferano radici e miceli, prima e irrinunciabile parte di un progetto sostenibile. La cooperazione tra le specie, ben esemplificata dal sistema esseri umani, alberi e funghi, è sempre più necessaria e urgente.

Infine il quarto progetto, The Silk Pavilion: i bachi da seta sono stati addestrati a rinunciare all’abitudine del bozzolo per intessere solide superfici architettoniche sulla struttura di una cupola stampata in 3D nel Padiglione della Seta, realizzato nel 2013 da Neri Oxman e dai ricercatori di Mediated Matter del MIT Media Lab.

Come Paola Antonelli ha dichiarato l’anno scorso in un’intervista a Domus[4][…]Il biodesign è un campo nuovo non perché il design non abbia mai preso in considerazione la biologia, ma perché i biologi sono più ricettivi e disponibili a partecipare alle loro sperimentazioni. Grazie alla tecnologia digitale e all’intelligenza artificiale, il design oggi è più vicino alla comprensione del modo in cui la natura progetta e costruisce.

Simona Grossi