La conciliazione vita-lavoro non può riguardare soltanto la maternità
Quando andiamo ad analizzare i termini della conciliazione vita-lavoro dobbiamo prendere in considerazione il fatto che spesso e volentieri si tende ad appiattire la questione soprattutto sui diritti di maternità o paternità.
Se ci concentriamo sulla classifica europea per l'anzianità delle donne al primo parto notiamo come l'Italia, con la sua media di 31,7 anni, ne ricopra purtroppo la vetta. Un risultato dettato da diverse variabili, tra le quali una delle più oggettive risiede proprio nella difficoltà di conciliare la vita familiare con quella lavorativa.
E' un numero sempre più alto quello delle donne che rinunciano alla carriera professionale per portare avanti la maternità, e così ci ritroviamo in un Paese in cui il 37% della popolazione femminile tra i 25 e i 49 anni risulta attualmente inattiva.
Tutto questo non è dettato da scelte personali, ma si deve alle infinite discriminazioni insite nel mondo del lavoro, al forte squilibrio dei carichi familiari e dalle esigue possibilità di raggiungere un equilibrio bilanciato tra professione e obblighi casalinghi.
Attraverso un'indagine condotta da Save the Children sul territorio e sul web è emerso come sempre più donne in Italia percepiscono questo gender gap che le obbliga a considerare lavoro e famiglia come una dicotomia inconciliabile. "Sarebbe bello poter dire a mia figlia che una donna non deve rinunciare alla propria carriera per realizzare il desiderio di avere un figlio e viceversa... purtroppo dovrò insegnarle che una donna, a parità di capacità con un uomo, verrà sempre discriminata nel momento in cui 'si ferma' per una gravidanza" è, ad esempio, uno dei resoconti che riporta l'Associazione[1].
Poco tempo fa uscì la notizia di un'azienda di Padova, la Eurointerim, che decise di premiare i dipendenti e i collaboratori che avrebbero intrapreso una genitorialità, alla quale si allinearono subito altre realtà come Lavazza che, dal canto suo, promise un bonus per i 200 lavoratori dello stabilimento di Settimo Torinese. Quello che mi ha fatto pensare è che sui giornali tale notizia è stata automaticamente declinata al femminile, con titoli quali quello di Qui Finanza che recitava "Cinquantamila euro per le dipendenti che fanno figli", o "Un premio alle donne che fanno figli" del Corriere della Sera, così come il "Cinquantamila euro per incentivare la natalità tra le dipendenti" de Il Mattino. Parlare di figli, quindi, è parlare di donne. Anzi, madri.
Si da sempre per scontato che i supporti e i servizi da destinare al favoreggiamento della famiglia e della conciliazione con il lavoro siano per forza di cose da destinare al mondo femminile, ma è un pregiudizio che va combattuto imponendo la forte convinzione che la genitorialità sia, invece, una responsabilità comune, e che quindi tutte le misure che non vanno in questa direzione rappresentano un vero e proprio freno al progresso delle donne nel mondo del lavoro.
Secondo l'Istat nello scorso anno abbiamo avuto un aumento di contratti part time, ma se analizziamo i numeri notiamo come siano il 32% delle lavoratrici ad averne beneficiato a fronte del solo 8% degli uomini. Ecco quindi che si manifesta la discriminazione nei confronti dell'avanzamento professionale. Tale variabile incide anche sul pay gap, visto e considerato che per questo motivo l'universo femminile rinuncia in media al 37% dello stipendio.
Il pay gap è legittimato anche e soprattutto dal fatto che tali stipendi non vengano considerati sufficienti alla copertura dei costi addizionali che l'assenza delle donne dalla cura domestica o dall'accudimento di figli e parenti impone.
La miopia si manifesta anche nel non considerare il salario femminile come fattore di influenza del "costo-opportunità dell'inattività", oltre che come variabile di aumento del PIL con i relativi contributi sociali e il maggior reddito fiscale.
Al di la dell'aspetto sociale, quindi, si pone anche l'enorme problema dell'arretratezza economica per la quale, invece, il contributo femminile potrebbe apportare un notevole fattore di ripresa[2].
Se guardiamo ai diritti e alle tutele esistenti oggi, infatti, notiamo come si punti sulla sicurezza e salute della madre lavoratrice (la cui inosservanza è punibile con l'arresto fino ai 6 mesi dell'imprenditore che la viola), sul congedo di maternità (che prevede un'indennità giornaliera pari all'80%), sul congedo parentale, e sui permessi di riposo destinati alle mamme lavoratrici dipendenti che devono assentarsi per l'allattamento o la cura del figlio.
E' quindi chiaro come, per una donna, il mondo al di fuori del lavoro debba essere per forza improntato sulla cura della casa e della prole, un concetto che apre il campo a una serie infinita di discriminazioni all'interno del mondo del lavoro che, come in un circolo vizioso, rappresenta il fattore di maggiore arretratezza culturale, sociale ed economica.