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22 gennaio, 2019

Il gender gap, un'emergenza sempre più attuale non affrontata adeguatamente dalla comunità internazionale

Quello del gender gap è un tema che ancora oggi, nel 2019, non viene adeguatamente affrontato, generando un arretratezza sociale e economica capace di ostacolare la creazione di welfare.

Nel 2018 secondo il World Economic Forum, infatti, non c'è stato nessun passo in avanti sul tema della partecipazione femminile al mercato del lavoro, mentre se analizziamo il trend internazionale sul tema dell'istruzione, dell'assistenza sanitaria e della partecipazione alla sfera politica, i dati riportano addirittura un arretramento. Si stima che con questo procedere ci vorranno addirittura altri 108 anni per colmare il gap, secondo quanto afferma il Global Gender Gap Report dell'organizzazione internazionale.

Di positivo si registra un leggero affievolimento del pay gap, la differenza salariale, e un altrettanto allineamento in termini di professioni in cui le donne sono rappresentate, e per questo motivo il bilancio risulta in positivo per quanto riguarda la voce inerente all'economic opportunity. Senza adagiarsi sugli allori, però, va considerato che lo svantaggio di partenza era talmente netto che, a questo ritmo, si stimano addirittura 202 anni per ottenere l'eguaglianza lavorativa. Sono soprattutto le professioni che esigono una preparazione tecnico-scientifica quelle che vedono assenti le donne, ed è questo un dato che ci dimostra come la disparità di accesso alle competenze risulti tra le prime variabili di differenza salariale.

Un altro dato fondamentale nell'analisi è quello che vede il numero delle donne lavoratrici ancora nettamente in svantaggio rispetto all'altro genere, un trend che difficilmente potrà invertirsi visto e considerato che, secondo lo stesso Report, l'era dell'automazione va a impattare in primis i lavori tradizionalmente a trazione femminile.

Per la prima volta in questo anno, poi, il suddetto Report ha analizzato, assieme a Linkedin, il gender gap generatosi all'interno dei mestieri richiedenti competenze nell'intelligenza artificiale. Nell'AI, infatti, la percentuale femminile è del solo 22%. E' un divario addirittura tre  volte più grande rispetto a ogni altro settore, e si manifesta nella quasi totale assenza di donne negli specifici ruoli senior, a discapito di posizioni più marginali quali ad esempio l'analisi dei dati, la ricerca o l'insegnamento.

Questo è un punto cruciale, perché ci dimostra come il gender gap andrà sicuramente ad aumentare in un mercato del lavoro sempre più permeato di AI anche in segmenti quali il manufacturing, l'hardware, il networking, la sanità, i servizi IT, l'istruzione.

Secondo il rapporto del World Economic Forum tra i Paesi più virtuosi su questo tema figura al primo l'Islanda, per il decimo anno consecutivo, per proseguire con la Norvegia, Svezia, Finlandia, Nicaragua, Ruanda, Nuova Zelanda, Filippine, Irlanda, e Namibia. Nonostante risultino fuori dalla top ten, i Paesi dell'Europa occidentale sono in media ben posizionati, con la Francia in 12° posizione, la Germania in 14° e subito dopo la Gran Bretagna. Si stima che con questo ritmo a tali Paesi serviranno 61 anni per colmare il gender gap, al contrario degli Stati Uniti, in 51° posizione, per i quali ci vorranno 165 anni.

Le economie che avranno successo nella quarta rivoluzione industriale saranno quelle più in grado di sfruttare tutti i talenti a disposizione“, ha affermato il fondatore e presidente esecutivo del WEF Klaus Schwab. “E’ essenziale adottare misure proattive a supporto della parità di genere e dell’inclusione sociale e superare le disparità esistenti in nome del benessere economico e sociale[1].

C'è ancora molta strada da fare, quindi, per far si che al genere femminile sia concessa la stessa parità di diritti e di opportunità di cui godono, invece, gli uomini.

E' sufficiente volgere lo sguardo verso ciò che succede da noi, dove, in una riunione del Ministro degli Interni con le imprese svoltasi al Viminale, di 15 associazioni partecipanti si è contata la presenza di una sola donna, il direttore generale di Confindustria Marcella Pannucci. A seguire il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico ha incontrato 36 associazioni, anche in questa occasione le donne sedute al tavolo sono state soltanto Donatella Prampolini, vicepresidente Confcommercio, e Patrizia De Luise, presidente Confesercenti.

Che si parli di politica o economia il risultato non sembra cambiare: soltanto il 14% dei sindaci di Italia è donna, così come il solo 17% fa parte della squadra di Governo rendendo questo tra i più maschili dell'ultimo periodo.

L'universo imprenditoriale ha lo stesso identico problema, anche in considerazione del fatto che per disporre di almeno un terzo femminile nei cda delle società controllate o quotate dallo Stato è stata necessaria un'apposita legge.

"Una volta arrivate ai tavoli del potere le donne sanno difendersi bene, il problema è arrivarci", ha commentato la stessa Donatella Prampolini, aggiungendo come "purtroppo spesso sono le stesse donne a rinunciare. Fra impresa e famiglia non trovano il tempo per fare associazione e lasciano il ruolo di rappresentanza ai colleghi. Pesa la mancanza di servizi, il welfare, la cultura dominante. Ancora ci sorprendiamo di vedere donne ai vertici, abbiamo ancora bisogno di situazioni personali d'eccezione per arrivarci. Io per esempio ho potuto contare su mio marito e sui genitori per crescere i miei tre figli. Senza di loro, stamattina, a quel tavolo, non ci sarei stata nemmeno io. Una situazione inaccettabile"[2].

Se vogliamo guardare un aspetto positivo, però, possiamo tornare a dare un'occhiata al Global Gender Gap Report, alla voce che indica la percentuale femminile di iscrizione universitaria e di formazione terziari.

L'Italia risulta infatti prima in questa particolare classifica, con 136 donne che affrontano un percorso formativo per ogni 100 uomini, addirittura il 17,4% contro il 12,7%. Le donne, inoltre, rappresentano il 60% dei laureati con lode.

Il mio augurio è, quindi, che possa crescere e fiorire una nuova ondata di iniziativa imprenditoriale al femminile capace di far ripartire le aziende italiane e con esse l'economia del Paese. Anche perché, secondo una stima dell'agenzia europea Eurofond, il gender gap costa all'Italia quasi 90 miliardi di euro[3]. Un capitale che potremmo recuperare cercando di riportare un'equità anche dal punto di vista sociale.

Simona Grossi