Il mercato punta sempre più verso processi di innovazione sociale: alcune buone pratiche di riferimento
Nel mercato post-crisi attuale nel quale le reti di imprese e organizzazioni si trovano a operare sta prendendo sempre più piede una nuova filosofia gestionale e processuale che si può racchiudere entro la sfera di quella che viene comunemente definita innovazione sociale. Per questa, stando alla definizione che ne danno Murray, Caulier Grice e Mulgan nel loro Libro Bianco sull'Innovazione Sociale, si intendono "le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa".
E' quindi diversa dall'innovazione tout court derivante dalla competizione di mercato e dall'ottimizzazione del profitto, e ha all'origine una serie di pressioni sociali esercitate da tutta una serie di bisogni insoddisfatti, di risorse inutilizzate, di emergenze ambientali o sociali. La lista dei servizi rispetto a queste categorie subisce (per una serie di motivi) un arresto della fornitura da parte del mercato e delle istituzioni, e quindi concede terreno a risorse e forze del privato sociale, all'imprenditoria dal basso, all'autorganizzazione delle comunità di cittadini attorno ai loro bisogni, il tutto per ottimizzare l'impiego delle risorse umane e ambientali per raggiungere una qualsivoglia di miglioramento sociale.
Parliamo quindi di un'applicazione funzionale e sostenibile di una rinnovata idea di prodotto, servizio o modello. Si ricercano idee che meglio si adattano al contesto socioeconomico per giungere a un plus valoriale per la società fruente, ed è un discorso che esula la semplice dicotomia profit/no profit in quanto basa il suo essere sul senso stesso di innovazione capace di avere il maggiore impatto positivo possibile per la società[1].
A oggi sono sempre di più i casi in cui realtà imprenditoriali o associative sfruttano e, anzi, puntano a implementare i meccanismi di innovazione sociale al loro interno, in quanto viviamo tempi in cui il mercato, saturo di offerta, premia, valorizza e fa sopravvivere soltanto chi è in grado di generare il suddetto plusvalore sociale.
Un esempio ce lo fornisce Interreg Central Europe, programma dell'Unione Europea, che lo scorso 11 settembre in occasione del Festival d'Innovazione Sociale ha presentato il Social Makers, una sorta di incubatore di iniziative di innovazione sociale.
“Il progetto è finalizzato a soddisfare la necessità di risoluzione dei problemi sociali, ricorrendo a nuovi strumenti e dando risposte in tempi brevi. Ciò sarà possibile anche grazie alla collaborazione tra l’Unione dei Comuni del Distretto Ceramico e il Democenter-Sipe” (la fondazione nata in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia che sostiene le imprese nella realizzazione di attività di ricerca, innovazione e altri servizi), ha esplicitato Massimiliano Morini, Presidente dell’Unione dei Comuni del Distretto Ceramico.
Attraverso la Social Innovation Accademy è prevista quindi la creazione di una comunità di innovatori sociali impiegati nella cittadinanza attiva, nell'imprenditorialità sociale, nella tecnologia e creatività per l'innovazione sociale, nella ricerca e nel coinvolgimento degli skateholders, e nella misurazione e finanza di impatto[2].
L'idea, quindi, è quella di creare un network che sinergicamente e dal basso cooperi nei rispettivi territori di riferimento per apportare un margine socioeconomico di crescita.
Un'altra buona pratica di settore è rintracciabile nel Forum Terzo Settore Martesana che nell'autunno prossimo organizzerà un itinerario che toccherà i temi centrali caratterizzanti le riflessioni sull'innovazione sociale. Parliamo quindi di tappe itineranti atte a promuovere la cultura della co-responsabilità e l'assoluta pertinenza dei legami sociali a fondamento di un nuovo concetto di welfare, più funzionale, sostenibile e generativo. Lo scopo è il coinvolgimento delle istituzioni, del terzo settore e delle imprese, che si genererà mediante un percorso di progettazione partecipata in grado di coinvolgere più di quaranta attori pubblici e privati dell'area, e che sarà promosso attraverso le relazioni di più di cento speakers provenienti dalle amministrazioni pubbliche, dalla politica, dalle imprese, dal volontariato e dalla cooperazione sociale[3].
Così come un altro ottimo esempio di incentivo all'innovazione sociale ci è dato dalla Banca Etica, che assieme a Fondazione Bruno Kessler, Fondazione Giacomo Brodolini ed Entopan, con il coordinamento operativo di Oltre Open Innovation Hub. ha da poco lanciato una call per le imprese al fine di accompagnarle verso una piena realizzazione attraverso attività di consulenza di livello e finanziamenti che possono arrivare fino a 700mila euro per ciascuna iniziativa. Una guida per start-up innovative e spin-off universitari, piccole e medie imprese, cooperative e aziende sociali, associazioni, fondi e enti del terzo settore, Innovare in Rete si declina in un programma che coniuga finanziamenti, investimenti e servizi di consulenza e accompagnamento per le iniziative di innovazione tecnologica che abbiano un significativo impatto sociale e ambientale[4].
Sembra quindi che si stia creando quel substrato valoriale in grado di apportare una nuova linfa di innovazione alle imprese e, più in generale, a tutti gli attori che operando in un contesto territoriale di riferimento riescono con il loro lavoro a generare la soddisfazione di uno o più bisogni nel sociale. Ed è questo un passaggio fondamentale per permettere al mercato, alla rete di realtà al suo interno, e più in generale a tutto il Paese di uscire definitivamente dalla crisi appena passata e riportare l'Italia a svolgere il ruolo di guida che le compete all'interno del panorama internazionale.