Diminuire il gender gap nei confronti delle imprese ad alta innovazione sociale
Com’è ormai appurato da ogni studio di settore, la rinascita economica creata dalla rete imprenditoriale del nostro Paese deve necessariamente passare attraverso un'implementazione interna alle organizzazioni dell'innovazione sociale e dei suoi meccanismi gestionali. Mediante l'adozione di politiche pubbliche cosiddette mission-oriented innovation, gli attori istituzionali sono in grado di racchiudere le capacità più innovative del sistema economico per risolvere rilevanti problemi sociali e, allo stesso tempo, riavviare la crescita.
Purtroppo resta ancora troppo alto il divario di genere nei confronti dell'apporto innovativo nel mondo imprenditoriale, e questo rende la ricrescita economica ancora troppo claudicante per apportare un reale cambio di passo.
Secondo la World Intellectual Property Organization, infatti, la quota di domande di brevetto di innovazione con almeno una donna tra gli inventori è aumentata dal 21 al 30 % tra il 2002 e il 2016. Si prevede, quindi, che l'annullamento del gender gap si avrà attorno al 2080[1], un lasso di tempo a mio parere troppo lungo.
Il fatto che l'Italia abbia una così bassa percentuale d’imprese al femminile che contribuiscono all'innovazione oltre a rappresentare una grave ingiustizia sociale rappresenta anche un enorme spreco di capitale creativo, e l'abbattimento di questo gap dovrebbe rappresentare quindi una priorità all'interno dell'agenda politica.
Si rende necessario annullare il pregiudizio occupazionale che fa si che alcuni settori (non a caso i più sviluppati sul territorio nazionale) siano prerogativa prettamente maschile mentre altri, che invece vedono una maggiore partecipazione femminile, non siano abbastanza valorizzati e continuino ad essere considerati secondari in ottica di valorizzazione del capitale.
Sarebbe inoltre estremamente utile prediligere strutture collaborative meno gerarchiche e più orizzontali, a partire dalle scuole e dai laboratori delle università, al fine di rivoluzionare gli ormai logori processi gestionali che poi, proiettati sul campo imprenditoriale, portano spesso ad una visione d'azienda ormai decontestualizzata e non più performativa.
"Le donne, a prescindere dal tipo di lavoro che svolgono, dipendente o autonomo, devono poter contare sugli stessi diritti e tutele in caso di maternità o di malattia. Permangono purtroppo sacche di pregiudizio verso il lavoro delle donne" ha dichiarato Gisella Ferri, presidente del Comitato provinciale per l’Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio, per poi aggiungere che "occorre fare la differenza creando una prospettiva economica e sociale che è base per il futuro delle prossime leve imprenditoriali. Costa fatica e sacrifici ma non è impossibile portare avanti il proprio progetto professionale e conciliare tempi di vita e di lavoro. Alle aspiranti imprenditrici dico di guardare sempre avanti"[2].